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Ragioniamo di turismo domestico e offerta museale, una relazione e potenzialità accentuate anche dal contesto turistico in epoca di Covid-19.

L’Ufficio Studi ENIT, nel suo bollettino n. 10 ha stimato quali effetti il Covid possa avere avuto, in termini di arrivi internazionali e domestici, in un campione di città italiane: Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Milano, Genova, Palermo, Bergamo e Torino.

Tali risultati, che sono sintetizzati dal seguente grafico, permettono di sollevare alcune questioni legate al “turismo” nel nostro Paese, che forse vale la pena di approfondire.

 Turismo domestico e offerta museale, una relazione e potenzialità accentuate anche dal contesto turistico in epoca di Covid-19.

Partiamo dunque dall’evidenza: nella maggior parte dei casi, la riduzione degli arrivi turistici stimata pare abbia colpito maggiormente gli arrivi internazionali. Si tratta di una condizione più che nota, ma è comunque un elemento importante da tener in considerazione, perché ancora una volta i dati sembrano mostrare che il segmento del turismo domestico e il segmento del turismo di prossimità, possono rappresentare un bacino di utenza estremamente interessante.

Sebbene i dati siano ovviamente condizionati dalle restrizioni internazionali, la condizione che forse è necessario registrare è che la rilevanza del nostro turismo domestico dovrebbe essere riconosciuta sia per i periodi di lockdown, sia durante quei periodi di “libera riapertura” che ci auguriamo tutti possano arrivare presto.

Ed è qui, però, che si inizia ad uscire dall’evidenza e si entra in un terreno molto più complicato.

Perché se è vero che il turismo di prossimità può essere una grande opportunità per il territorio, è anche vero che mantenere tassi crescenti di arrivi e pernottamenti “di prossimità” è una sfida di non facile gestione. 

Condizione che diviene ancora più ambiziosa se si prendono in considerazione anche due elementi tipici della scelta turistica: il trade-off tra il pernottamento e il rientro in giornata, che delinea una preferenza per la seconda opzione quanto meno distanza separa il luogo di partenza da quello di destinazione, e il livello di offerta turistica rivolta ai turisti di prossimità, che deve essere necessariamente più convincente, eterogenea, attrattiva e variegata rispetto all’offerta turistica rivolta ai turisti internazionali.

Banalmente, se una persona vive a 100 km da Padova, dopo 6 week-end di fila che visita la città, dovrà avere sicuramente un motivo “aggiuntivo” per ritornarvici. E viene naturale, a quel punto, affermare che in fondo, questo motivo aggiuntivo dovrebbe essere rappresentato anche dall’offerta museale.

Turismo domestico e offerta museale

Tale considerazione, però, rievoca un’altra serie di valutazioni che diviene a quel punto inevitabile condurre: perché di certo la percentuale di persone che, dopo aver visitato per sei week-end di fila un determinato museo decida di ritornarvici una settima volta è molto esigua. Se non nulla.

Ma se invece della “visita” al Museo, ci fosse un insieme di offerte culturali differenziate, che partendo dal patrimonio culturale e artistico custodito fossero in grado di costruire, per i visitatori, esperienze culturali e turistiche emozionanti e di qualità, le condizioni potrebbero variare?

Se invece della visita guidata, un cittadino trovasse in un Museo un percorso di formazione, un laboratorio artistico o fotografico, un corso di pittura o anche un corso di cucina che rielabora le antiche ricette medioevali?

Il “ritorno” al Museo sarebbe più che altro un “proseguimento di un percorso”, e questo potrebbe dunque consentire una maggiore diversificazione dell’offerta esperienziale di un determinato territorio.

Ma a quel punto, se ad avviare percorsi di coinvolgimento della cittadinanza non fosse soltanto “un” museo, ma fossero tutti i musei del territorio, ciascuno dei quali con una propria “profilazione”, allora il territorio diverrebbe, senza dubbio più attrattivo e più diversificato.

A quel punto, quindi, la maggior parte dei Musei di un territorio, in quanto “produttori di esperienze”, acquisirebbero in modo ben più definito il ruolo di attrattore turistico per i cittadini, e per i turisti provenienti dalla medesima regione.

Da questa base di partenza, e quindi da un sistema museale in grado di interagire con cittadini e turisti di prossimità, si potrebbero poi elaborare anche altre strategie: come ad esempio strategie di posizionamento dei musei di modo che essi possano risultare attrattivi non già “per un turismo internazionale” non meglio identificato, ma per un turismo internazionale “profilato”, per categoria di “turista”, per “nazionalità di provenienza”, per età anagrafica.

Un tale posizionamento potrebbe sicuramente portare dei benefici sia nella capacità dei musei di interpretare le esigenze dei propri visitatori, sia nella composizione degli stessi. 

Soprattutto, ci sarebbero le condizioni per poter definire una politica culturale che faccia realmente da “ponte” tra culture differenti, con azioni basate su specifiche strategie di “mercato-geografico”, che consentano l’avvicinamento di territori distanti, e che potrebbero avere significative ripercussioni anche su altre dimensioni della vita sociale.

Si potrebbe così rivendicare per i musei una capacità di profilazione dei propri visitatori e una capacità di interpretazione dei bisogni culturali che ad oggi, viene soltanto acclamata nei convegni, ma che di rado produce effetti concreti.

Ma una dimensione del genere, probabilmente, è ancora molto lontana dalla nostra realtà. 

Probabilmente, per i nostri musei, è forse più semplice pensare di fare una “esposizione temporanea” e attrarre i pochi aficionados, piuttosto che avviare una seria politica di coinvolgimento delle persone.

Probabilmente, con le risorse che molti dei nostri musei si trovano a dover gestire, è anche tanto se li troviamo aperti. 

Probabilmente, però, non è detto che queste condizioni debbano rimanere immutate, e soprattutto, non è detto che debbano essere considerate “normali”, e quindi accettabili.

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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