Come è cambiato il turismo dagli anni 50 ad oggi? C’è una statistica interessante, riportata dal sito Ourworldindata sulla base di dati forniti dall’organizzazione mondiale sul turismo.
Come è più che evidente, in questi anni il tasso più importante di crescita del settore turistico ha riguardato principalmente la regione dell’Asia e del Pacifico.
Più nel dettaglio, nel 1950 l’Africa registrava circa il 2%, il medio oriente lo 0,79%, e 0,79% registrava la regione dell’Asia e del Pacifico, a fronte del 30% (circa delle Americhe), per lasciare incontrastata l’Europa, con i due terzi esatti del traffico mondiale, nel 2018, ultimo anno di rilevazione, la situazione è drasticamente cambiata.
Ad aver conosciuto il più grande tasso di crescita è la Regione dell’Asia e del Pacifico (che adesso conta quasi un quarto dell’intero traffico), seguita dall’Africa (4,77%) e dal medio oriente (4,56%), mentre le Americhe e l’Europa hanno registrato un calo sostanziale, rappresentando rispettivamente il 15,46% e il 50,78% del traffico totale.
A poco meno di un secolo di distanza, quindi, l’Europa ha visto ridursi di circa un terzo il proprio peso all’interno dei consumi turistici globali, mentre il perso delle Americhe si è all’incirca dimezzato.
Esistono molteplici spiegazioni che possono illustrare questi cambiamenti: il mondo, nel 1950, era completamente diverso dal nostro mondo odierno.
Eppure una statistica come questa, che registra trend così significativi, non racconta soltanto un cambiamento nelle preferenze e nei consumi turistici: racconta di un cambiamento di percezione, un incremento del “fascino” percepito a livello globale, verso mete turistiche site in specifiche aree del pianeta.
L’Africa è cresciuta, duplicando il proprio peso, ma la Regione dell’Asia e del Pacifico è cresciuta di circa 25 volte. È il risultato di un’affermazione della “cultura” asiatica, che con la forza trainante di tigri vecchie e nuove, ha saputo conquistare con sempre maggiore forza l’immaginario collettivo globale.
Guardando ad esempio soltanto agli ultimi 25 anni, il flusso di visitatori internazionali diretti in Cina è pressappoco triplicato: meno di 50 milioni nel ’95, nel ’19 gli arrivi internazionali in Cina hanno superato quota 162 milioni.
Un tendenziale che non può che includere anche un “posizionamento culturale”.
L’Italia, in questo scenario ha mostrato sicuramente livelli di crescita, dai poco più di 55 milioni nel ’95 si è avvicinata a quota 100 nel 2019. Tale crescita, tuttavia, potrebbe essere spinta ulteriormente al rialzo: basti guardare il trend mostrato dalla Spagna, che ha partendo da livelli simili a quelli italiani ha superato di lunga il nostro Bel Paese, registrando nel 2019 circa 130 milioni di arrivi.
A frenare l’ulteriore crescita italiana sono fattori molto eterogenei: il livello delle infrastrutture, i trasporti, e la generale cattiva gestione dei flussi turistici (si pensi che a Venezia mettono il biglietto per entrare).
Ma aprendo la visione a uno sguardo più ampio, non si può non registrare un certo corto-circuito che nel nostro Paese si verifica tra “cultura” e “turismo”.
Un fenomeno particolare, in base al quale le persone vengono in Italia per la nostra cultura, ma che vede la nostra cultura assoggettata ai flussi turistici.
Non è uno scioglilingua, è una questione di “peso” che i due settori rivestono nel nostro Paese e le conseguenze che tale equilibrio sbilenco genera: se l’attrattiva del nostro Paese, rispetto ad altre nazioni (come ad esempio la Spagna) è un’attrattiva tipicamente culturale, per favorire il turismo bisogna “investire sulla cultura”, per far sì che tale attrattiva continui ad essere un fattore critico di successo.
Ovunque si guardi, tuttavia, accede esattamente il contrario: le istituzioni culturali agiscono, programmano e investono in funzione del turismo.
Nel ciclismo esistono due ruoli specifici: il “capitano” (che è il corridore principale) e il “gregario”. Il ruolo del gregario è quello di aiutare il capitano supportandolo in differenti modalità. Ha delle funzioni specifiche, come ad esempio fornirgli acqua, contrastare eventuali “attacchi” dei concorrenti, posizionarsi in testa per migliorare le condizioni di aerodinamicità del capitano, favorendone la “volata”.
Nel nostro Paese la cultura, che a giudicare dalle motivazioni per le quali i turisti internazionali arrivano in Italia dovrebbe essere il “capitano”, gioca invece a fare il gregario. Così facendo, però, il meccanismo si inceppa. E l’Italia non decolla.
*immagine di copertina: Teatro alla Scala, © Georgios M. Groutas