Skip to main content
Reading Time: 5 min

Il turismo che fu, ovvero di quando un albergatore di successo spiega che il turismo distrugge il patrimonio. Ha ragione?

Non so voi, ma in genere chi entra in una chiesa medievale cammina sulle tombe senza farci caso. Non distingue fra pavimento anonimo e lapidi. Non si accorge delle iscrizioni a terra, tanto meno prova a leggerle. Conosco soltanto altre due persone caute nel non calpestare i sepolcri in chiesa – a girare loro attorno, a equilibrare i passi fra una tomba e l’altra – e sono entrambe veneziane. Sanno da molte generazioni che prima della riforma napoleonica i notabili si seppellivano in chiesa, gli altri casomai nel campo santo subito fuori.

In fondo sono le stesse ragioni, di rispetto umano e culturale, per cui non sta bene tuffarsi nel Canal Grande, entrare in duomo in costume da bagno, addentare hamburger in un museo. Si sa che non si fa, e chiusa lì. I visitatori che calpestano le lapidi a pavimento come fossero un parquet nemmeno si sognano di rinunciare al loro senso del rispetto quando girano per i cimiteri a giardino parrocchiali o comunali. Ma dove sta la differenza?

Tutto questo credo abbia a che fare con forse l’unico possibile punto debole di FuTurismo – la maiuscola intermedia è intenzionale – pamphlet scritto di recente da Michil Costa, albergatore di famiglia a Corvara in Val Badia e gestore di ricettività a Bagno Vignoni in Val d’Orcia. Sono 180 pagine edite da un’inattaccabile casa editrice sudtirolese, qualificate in sottotitolo come “accorato appello contro la monocultura turistica”. Nella prefazione, Massimo Cacciari scrive che quella di Costa è “un’ecologia propositiva e realistica, quella di cui il nostro mondo ha davvero bisogno”.

Costa, classe 1961, sa bene che l’ovvio calo pandemico non ha fatto inverno. Il turismo in Italia vale ancora circa un ottavo del prodotto interno lordo. A dicembre 2022 The Data Appeal Company, massimo istituto di ricerca quantitativa nel settore, ha avvertito che “dal punto di vista delle presenze i numeri confermano quelli estivi: il turismo si sta rapidamente riprendendo rispetto allo stesso periodo del 2021”. In data 23 dicembre l’ISTAT rendiconta che “nel periodo gennaio-settembre 2022 aumentano sia gli arrivi negli esercizi ricettivi italiani (+45,8%) che le presenze (+39,9%) rispetto allo stesso periodo del 2021”.

Le parole chiave nel pamphlet di Costa sono secche. Parole di accusa, a volte sprezzanti. Industrializzazione del viaggio. Turismo porno-alpino. Tipologie di umanoidi. Schiavitù.

“Fino a qualche anno fa”, si legge in FuTurismo , “a richiamare l’attenzione dei turisti era il meraviglioso Lago di Sorapis in provincia di Belluno, con il suo azzurro opalescente, ma arrivarci è faticoso. Oggi a scatenare l’inferno è il Lago di Braies in Val Pusteria, di più facile raggiungibilità, reso celebre da Terence Hill e dal suo A un passo dal cielo. Tutti in coda con la macchina per compiere la missione mordi e fuggi, farsi un selfie e tornare a casa.”

O ancora, in termini di gestione del territorio. “L’innevamento di un ettaro di pista da sci costa circa 140.000 euro. […] Senza la neve programmata, a causa della crisi climatica e delle sue conseguenze, non sarebbe possibile garantire la continuità del turismo sciistico invernale.”

E in termini sociali? “La montagna non può essere ridotta a domenica della vita. Dietro l’acquisto di una seconda casa c’è spesso una visione distorta della vita della comunità locale, un’idealizzazione del contesto sociale molto lontana dalla realtà.”

Sono tutti esempi alpini, ed è facile accusare Costa di essere uno che “tanto ha già tutto”, un albergatore di successo figlio di albergatori di successo in un contesto territoriale di successo, insomma uno che si può permettere di essere “additato come un alternativo” senza scomporsi. Quando a metà novembre scorso Costa ha presentato il suo libro a Milano, per Book City, un parlamentare lombardo gli ha amabilmente rinfacciato di vivere in una provincia a statuto autonomo, dove il turismo è ben foraggiato.

Ovvio che di Costa gli ambienti ufficiali non si curino. “Un pazzo” è la qualifica frequente nelle chiacchiere off record fra congressisti accademici e amministratori locali. A Firenze, a fine novembre 2022, il massimo convegno italiano del settore ha doverosamente invitato anche Costa, ma al centro del dibattito non c’era la monocultura turistica. Il tema chiave fra gli addetti ai lavori è stato il metaverso, “una rivoluzione che sta per cambiare le nostre vite e i modelli di riferimento con la realtà”, con l’avvertimento che “a cascata potrebbero essere modificate le modalità di pagamento, la ricerca di informazioni, il rapporto con i luoghi, il concetto stesso di ospitalità”.

FuTurismo è da leggere, magari qua e là con un senso di complice tenerezza verso le frequenti citazioni da autodidatta, sempre però scattando sull’attenti di fronte all’approccio etico e gestionale. Ancora Cacciari: “È una storia drammatica, come tutte quelle davvero autentiche. Nulla di sentimentalistico o idillico […] E il patrimonio è essenzialmente ambiente, paesaggio, bellezza. Rovinarli, distruggerli significa distruggersi. E i tempi possono essere ormai rapidissimi proprio in forza della straordinaria rapidità della crescita.”

Venezia e Firenze, come Sirmione o San Gimignano, sono infatti diventate sia turisticamente sia socialmente invivibili perché sovraffollate… Torniamo però all’unico possibile punto di debolezza nel discorso di Costa, che consiste nella sua pia illusione – spesso implicita nel libro, molto esplicitata in qualche intervento in pubblico a braccio – che i turisti possano e anzi debbano essere educati. Ma avere a che fare soltanto con turisti educati è semplicemente impossibile. Non si può pretendere che un turista sappia a priori che tuffarsi nel Canal Grande, entrare in chiesa in costume da bagno, mangiare in un museo o calpestare una tomba sono cose che non stanno bene. Mica siamo tutti veneziani quando entriamo ai Frari, o ladini quando andiamo per sentieri sulle Dolomiti.

È insomma ovvio lo squilibrio fra residenti che vivono da generazioni lungo una costa o in un centro storico Unesco e, invece, visitatori che lungo quella costa o in quel centro storico passano un periodo breve, arrivando da contesti, educazioni e comodità del tutto differenti. Non si può essere certi che – per dire – un gallese non si tuffi in un rio veneziano o un pakistano non imbocchi sentieri di montagna in scarpe da tennis. Li si possono, è vero, indirizzare al rispetto attraverso comportamenti altrui che incontrino e istintivamente imitino, oppure con segnaletiche e prescrizioni web. Ma che si possano accogliere soltanto turisti “educati”, o che li si possano “educare” tutti in corso d’opera, semplicemente non ha senso.

Precisato questo, resta che il discorso di FuTurismo si rivolge non tanto agli utenti finali quanto agli operatori del turismo. Per una terza volta, Cacciari. “L’imprenditore intelligente oggi non soltanto sa che deve essere il primo a difendere l’ecosistema in cui opera, ma anche che la sua impresa ha carattere sociale più ampio. Che lo voglia o no, l’impresa ha oggi questo carattere.” I turisti sono praticamente impossibili da educare, ma gli imprenditori del turismo possono e anzi dovrebbero – quelli che non lo hanno già fatto – educarsi.

Rimane infine da dedicare un attimo d’attenzione al sottotitolo di FuTurismo e al suo ricorso alla parola “monocultura”. In parole povere, rivolgere “un accorato appello contro la monocultura turistica” significa che Londra o Parigi – e per ora anche Milano – sono in grado di assorbire il loro sovraccarico di turisti grazie alla loro massa critica di altre attività, di imprese non turistiche, di residenti al lavoro che restano soverchianti. Quando Barcellona si è accorta di rischiare, ha dato un colpo di timone e sta sopravvivendo. Ma Venezia, Firenze o le Dolomiti, dove il turismo è l’impresa dominante, rischiano di brutto. Facciamo caso a non camminare sulle tombe, per cortesia.

 

*© immagine di copertina: Stacy Ropati su Unsplash 

Roberto Peretta

Roberto Peretta si considera fortunato per il decennio da resident consultant che ha trascorso al Touring Club Italiano, con cui del resto lavora dagli anni '80 senza avere mai smesso. Nel frattempo ha insegnato per una ventina d'anni in corsi magistrali alle università di Bergamo (IT for Tourism Services) e di Trento (Sistemi informativi per il turismo), con corollario di ricerche e pubblicazioni. È socio del Club Alpino Italiano, dell'Automotoclub Storico Italiano e della Società del Quartetto.

Leggi gli altri post di Roberto Peretta

Roberto Peretta

Roberto Peretta si considera fortunato per il decennio da resident consultant che ha trascorso al Touring Club Italiano, con cui del resto lavora dagli anni '80 senza avere mai smesso. Nel frattempo ha insegnato per una ventina d'anni in corsi magistrali alle università di Bergamo (IT for Tourism Services) e di Trento (Sistemi informativi per il turismo), con corollario di ricerche e pubblicazioni. È socio del Club Alpino Italiano, dell'Automotoclub Storico Italiano e della Società del Quartetto.

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.