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Greenwashing è il neologismo inglese che significa ecologismo o ambientalismo di facciata, e quando si parla di sostenibilità la sua ombra aleggia costantemente nella mente degli interlocutori.

Troppo spesso infatti i professionisti del marketing cadono nella trappola delle affermazioni eco-positive non verificabili, una pratica nota come greenwashing.

C’è poi anche chi lo fa con l’obiettivo di far apparire aziende, decisioni manageriali, prodotti e attività più ‘green’ di quanto siano realmente.

O ancora chi lo fa per poter aumentare i prezzi cavalcando le dichiarazioni di quei consumatori disposti a pagare di più per prodotti e servizi rispettosi dell’ambiente. Che sia per convinzone o per essere considerati consumatori ecologici, come il 45% degli americani, stando allo studio rilasciato lo scorso settembre da Eco Pulse e pubblicato da Shelton Group.

La Commissione Europea contro il greenwashing

Ieri, mercoledì 22 marzo, la Commissione Europea ha poi presentato una nuova legislazione per affrontare le affermazioni ambientali fuorvianti introducendo sanzioni contro il greenwashing e regole più severe per l’approvazione di nuovi marchi di qualità ecologica.

La proposta di direttiva Green Claims mira a ridurre il greenwashing e consentire ai consumatori di prendere decisioni di acquisto informate sulla base di informazioni affidabili sulla sostenibilità dei prodotti che acquistano.

Le aziende inadempienti saranno soggette a sanzioni che vanno dalle sanzioni pecuniarie alla confisca dei ricavi, all’esclusione temporanea dalle procedure di appalto pubblico e dai finanziamenti pubblici.
Le sanzioni saranno applicate dalle autorità nazionali, che devono controllare regolarmente le dichiarazioni ecologiche, divulgare pubblicamente i loro risultati e multare le aziende che fuorviano i consumatori.

Ma quali sono i termini di greenwashing da evitare?

La Federal Trade Commission (FTC) degli Stati Uniti, nella sua guida delle dichiarazioni di marketing ambientale, indica i seguenti termini come potenzialmente dettati dal greenwashing e quindi da valutare attentamente quando compaiono su etichette e materiali legati al marketing: verde, ecologico, rispettoso dell’ambiente, naturale e sostenibile.

Questi invece i termini che per la FTC implicano controlli specifici e puntuali, ed eventualmente multe se non veritieri.

Compensazione del carbonio

Il fornitore di compensazioni di carbonio utilizza solide pratiche scientifiche e verificabili per sostenere quanto dichiara? In tal caso può menzionarle nella sua strategia di marketing e, se sono soluzioni che hai scelto per la tua propria strttura ricettiva o destinazioni, puoi farlo anche tu.

Certificato da / Sigillo di approvazione di…

Per utilizzare una certificazione verde o un sigillo di approvazione nella tua comunicazione aziendale, o su l’etichettatura di un prodotto, chiarisci sempre se la tua azienda è materialmente collegata al gruppo dietro di essa, ad esempio ricevendo fondi da esso.

Le affermazioni, esplicite o implicite, devono essere comprovate e la base della certificazione o del sigillo deve essere chiara. In caso contrario, la tua azienda dovrebbe chiarire i vantaggi ambientali impliciti in modo evidente o rimandare al sito web dell’ente certificante.

Compostabile

Era vivo, come una pianta, o parte di un essere vivente, come un osso di maiale? Allora può andare nel bidone del compost. Tuttavia, non puoi chiamare un prodotto “compostabile” se qualcuno non può compostarlo in modo sicuro e autonomo a casa propria.

Cioè, se un oggetto rimane in gran parte nella sua forma originale un anno dopo mentre il resto del cumulo di compost da giardino si è trasformato in soffice fertilizzante, allora non commercializzarlo (o promuoverlo se lo offri ai tuoi ospiti) come compostabile. Se il prodotto o l’imballaggio richiedono il compostaggio in un grande impianto industriale non disponibile per la maggior parte dei consumatori, allora va precisato.

Degradabile / Biodegradabile

Il prodotto e la sua confezione si decomporranno completamente e “ritorneranno alla natura” entro un anno? Allora puoi chiamarlo “degradabile”. In caso contrario, o se alla fine l’oggetto si accumulerà in una discarica, brucerà in un inceneritore o verrà riciclato, evita il termine e i suoi derivati, come “oxo-biodegradabile”.

Privo di…

Se il prodotto è “privo di” una sostanza, ma ne contiene un’altra ugualmente rischiosa per l’ambiente, evita il termine. Evitalo anche se lo stai dichiarando su un prodotto che non dovrebbe contenerla a prescindere…

Meno tossico di…

Meno di cosa? Per presentare una richiesta di riduzione alla fonte, è necessario dettagliare ciò che viene confrontato, ovvero precisare, ad esempio, che la bottiglia produce il 20% in meno di rifiuti rispetto alla versione precedente del prodotto.

Realizzato / sostenuto con energia rinnovabile

Un’azienda che utilizza energia basata su combustibili fossili non dovrebbe fare questa affermazione a meno che non acquisti crediti di energia rinnovabile (REC). Se la tua struttura funziona con il 40% di energia eolica e non con il 100%, precisalo.

Realizzato con materiali rinnovabili

Che cosa vuol dire? Descrivi il materiale effettivo ed enumera ciò che lo rende rinnovabile.

Non tossico

Chi ha detto che il tuo prodotto, o quello che adoperi e fai adoperare ai tuoi ospiti, non ha o non può danneggiare chimicamente una persona o un ecosistema? Sostieni questa affermazione con la scienza.

Contenuto riciclato

Va bene specificare che il prodotto o l’imballaggio contiene il 20% di materiale riciclato, se tale contenuto è stato eliminato dal flusso dei rifiuti e utilizzato nella produzione effettiva. Tuttavia, la FTC considera fuorviante se un articolo è etichettato come “riciclato” ma utilizza “componenti usati, ricondizionati o rigenerati”.

Altri termini di cui diffidare

Oltre ai termini di cui sopra, menzionati esplicitamente nelle Guide Verdi FTC, molti altri tormentoni hanno suscitato l’ira dei gruppi di consumatori nel corso degli anni.

  • Pulito – esiste il carbone pulito?
  • Consapevole – H&M è ad esempio oggetto di un’azione legale collettiva per la sua linea di indumenti con etichetta premium “Conscious Choice”, che avrebbero dovuto essere realizzati con “almeno il 50% di materiali più sostenibili” ma mostravano scorecard ambientali fuorvianti. Le autorità olandesi hanno recentemente costretto l’azienda di fast fashion a smettere di usare sia “consapevole” che “ecodesign”.
  • Low carbon – è in corso un’indagine internazionale sui principali emettitori globali di CO2 Chevron, ExxonMobil, BP e Shell che hanno aumentato drasticamente l’uso di termini come “low carbon” per indicare l’adozione di tecnologie più pulite nei loro rapporti annuali tra il 2009 e il 2020, secondo uno studio di febbraio in la rivista scientifica peer-reviewed Public Library of Science (PLOS) One. Tuttavia, nello stesso periodo di tempo, le società hanno intensificato notevolmente l’esplorazione di petrolio e gas, mentre i loro sforzi per le energie rinnovabili sono rimasti poco chiari. Pertanto, le azioni societarie non corrispondevano ai loro impegni.
  • Plastic neutral – un termine relativamente nuovo che le aziende utilizzano per descrivere come cercano di compensare l’uso della plastica, solitamente negli imballaggi. Ad esempio, sebbene vendano un sapone in una bottiglia di plastica, hanno pagato una terza parte per recuperare la quantità equivalente di plastica dall’oceano. Sebbene probabilmente ben intenzionata, questa affermazione è difficile da regolamentare e verificare. L’anidride carbonica si presenta in una forma, ad esempio, mentre esistono almeno sette tipi di plastica comune.
  • Rigenerativo – le pratiche agricole rigenerative, come la rotazione delle colture e la rinuncia all’aratura, hanno un potente potenziale per mantenere il carbonio nel terreno. Tuttavia, la definizione di “rigenerativo” varia. Nel frattempo, il denaro delle aziende è aumentato negli sforzi per promuovere l’agricoltura rigenerativa, alcuni dei quali vengono lanciati solo per poter essere pubblicizzati per compensare l’inquinamento da carbonio altrove. Ci sono certificazioni in questo spazio, come quella del Regenerative Organic Certified del Rodale Institute, che ha promosso l’agricoltura rigenerativa quattro decenni fa. Ma chi sta misurando la quantità di carbonio sequestrato, e come? Qual è un giusto margine di errore? L’abbraccio del “rigenerativo” come nuova tendenza trascura anche millenni di pratiche indigene. Qual è l’impatto sociale dell’agricoltura rigenerativa quando la stragrande maggioranza dei terreni agricoli è di proprietà dei bianchi, grazie alle politiche passate e presenti che li favoriscono? È “rigenerativo” riguardo ai metodi utilizzati o ai risultati che ottengono? Il termine viene utilizzato anche in senso lato, come nell’intenzione espressa da Walmart nel 2020 di diventare una “società rigenerativa”. Aspettatevi che queste e altre domande emergano all’orizzonte. Per ora, le aziende sono libere di trasmettere i loro sforzi rigenerativi senza timore di rappresaglie normative.
  • Net zero – gli impegni delle aziende a zero emissioni nette sono esplosi dalla firma del trattato dell’Accordo di Parigi nel 2015. Tuttavia, non tutti gli impegni net-zero sono uguali.

“Il problema è che i criteri e i parametri di riferimento per questi impegni hanno diversi livelli di rigore e scappatoie abbastanza ampie da far passare un camion diesel”

– António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite

Anche se la tua azienda, o destinazione, ha assunto un impegno net zero in buona fede, metti da parte i trucchi “creativi” di contabilità del carbonio e inizia a ridurre le emissioni assolute. Cosa ci vuole per costruire un credibile impegno net-zero?

Il rapporto “Integrity Matters” pubblicato da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite a novembre ha offerto numerosi dettagli. Ecco un riassunto di Guterres:

Gli impegni net-zero devono essere in linea con gli scenari [Intergovernmental Panel on Climate Change] che limitano il riscaldamento a 1,5°. Ciò significa che le emissioni globali devono diminuire di almeno il 45% entro il 2030 e raggiungere lo zero netto entro il 2050.

Gli impegni dovrebbero avere obiettivi intermedi ogni cinque anni a partire dal 2025. E questi obiettivi devono coprire tutte le emissioni di gas serra e tutti gli ambiti di emissioni.

Per gli istituti finanziari, ciò significa tutte le attività finanziate. Per le imprese, significa tutte le emissioni: dirette, indirette e quelle provenienti dalle catene di approvvigionamento. E per città e regioni significa tutte le emissioni territoriali.

Insomma, le pratiche e strategie sostenibili crescono ed evolvono continuamente, così come nascono nuovi sigilli e certificazioni, ma di pari passo si allunga l’eneco di termini da verificare attentamente prima di adoperarli nella propria comunicazione.

La sostenibilità è per me il tema e da anni cerco di crescere e migliorarmi in questo senso, ma scegliere i giusti fornitori e prodotti, adottare le giuste strategie in vista delle giuste certificazioni è estremamente complesso e il mio quotidiano è costellato da analisi e riflessioni di questo tipo.

Usurante? Sì.

Stancante? Sì.

Complesso? Estremamente.

Oneroso? Decisamente.

Giusto? Assolutamente sì.

 

*© immagine di copertina Brian Yurasits, su Unsplash 

Silvia Moggia

Italo-argentina cresciuta alle Cinque Terre, laureata in Conservazione dei Beni Culturali e specializzata in Francia in Mediazione Culturale e Gestione dello Spettacolo, dopo un anno presso l’agenzia internazionale IMG, ha iniziato a lavorare alla direzione della programmazione e artistica dell’Opéra di Parigi nel 1998 per poi essere nominata direttrice di produzione e programmazione al Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia nel 2005. Dal 2011 è tornata in Italia per motivi familiari riconvertendosi nel settore turistico e ha da poco ultimato il master in Hospitality 360 presso la Cornell University, dopo il corso in Tourism Management presso la stessa università. Gestisce il boutique hotel di famiglia a Levanto, si occupa di promozione e sviluppo per altre strutture ricettive e destinazioni, è Data Storyteller & Strategist per The Data Appeal Company e per Vertical Media è incaricata delle strategie di marketing e comunicazione di Destination Florence. Nel tempo libero viaggia ed è web writer nel settore travel e scrive un proprio blog di viaggi indipendenti in solitaria.

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Italo-argentina cresciuta alle Cinque Terre, laureata in Conservazione dei Beni Culturali e specializzata in Francia in Mediazione Culturale e Gestione dello Spettacolo, dopo un anno presso l’agenzia internazionale IMG, ha iniziato a lavorare alla direzione della programmazione e artistica dell’Opéra di Parigi nel 1998 per poi essere nominata direttrice di produzione e programmazione al Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia nel 2005. Dal 2011 è tornata in Italia per motivi familiari riconvertendosi nel settore turistico e ha da poco ultimato il master in Hospitality 360 presso la Cornell University, dopo il corso in Tourism Management presso la stessa università. Gestisce il boutique hotel di famiglia a Levanto, si occupa di promozione e sviluppo per altre strutture ricettive e destinazioni, è Data Storyteller & Strategist per The Data Appeal Company e per Vertical Media è incaricata delle strategie di marketing e comunicazione di Destination Florence. Nel tempo libero viaggia ed è web writer nel settore travel e scrive un proprio blog di viaggi indipendenti in solitaria.

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