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La moda del grand tour ha rappresentato, senza dubbio, uno dei momenti più alti dell’influenza italiana nel mondo.

Chiunque “contasse” doveva intraprendere il proprio viaggio in Italia all’insegna della bellezza e della conoscenza.

L’Italia, quindi, diveniva meta ambita da tutti. Se i notabili (come si chiamavano un tempo) facevano a gara per venire nel nostro Paese, coloro che non potevano permetterselo vivevano quindi di riflesso questa nostra penisola come meta ambita e luogo d’eccellenza.

Oggi, ogni anno, per fortuna, migliaia e migliaia di visitatori internazionali si recano nel nostro Paese per potersi permettere ciò che i propri antenati non potettero: la visita in Italia, la visione delle grandi città d’arte, le bellezze degli Uffizi, lo splendore di Milano, la maestosità di Roma, la stratificata Napoli, Palermo.

Ma più nessuna di queste mete riveste davvero quel ruolo che aveva un tempo. Sono città bellissime, il cui Patrimonio nel tempo è divenuto sempre più importante, e sempre più si è arricchito, anche grazie alla forte cultura della tutela che ci ha concesso di poter preservare quelle meraviglie che un tempo affascinavano i nobili di tutta Europa e di poterne apprezzare ancor più i dettagli.

Ma nessuna di queste mete ha la stessa valenza che aveva un tempo.

E il motivo è semplicissimo: queste città, un tempo, erano il fulcro di una vita culturale vibrante e attivissima. Erano quella che sarebbero poi divenute Parigi, New York, Londra, Pechino.

Il Grand Tour non era soltanto un viaggio iniziatico attraverso il quale toccare con mano le conoscenze acquisite sui testi. Era anche un modo concreto per poter comprendere appieno come l’Italia del tempo dialogava con il mondo classico.

Era il luogo di cui valeva bene l’affermazione: “Bisognarà sempre andare in Italia, non fosse che per apprendere a studiare, non fosse che per apprendere e vedere”.

Oggi le nostre mete sono mete di viaggio, mete di svago.

Lo sono state, forse, alcune città nei primi anni ’90, quando turisti cinesi venivano ad apprendere le tecniche della moda italiana, con l’obiettivo di importare tali conoscenze nel proprio paese e nelle proprie fabbriche tessili.

Oggi, però, anche quella competenza distintiva è stata acquisita.

Non per la scena musicale, non per la scena artistica, o il teatro. Non per il cinema, né per la radio. Non per i videogames, né per la letteratura.  Non per l’architettura contemporanea. Non per la tecnica e per le conoscenze industriali.

Nessuna delle città italiane, spogliate del proprio patrimonio artistico e culturale, potrebbe reggere il confronto con altre città internazionali.

Una considerazione che dovrebbe forse farci riflettere, ed identificare le motivazioni per le quali le nostre produzioni culturali non sono più così ambite come lo erano un tempo.

Senza dubbio, gran parte di questo risultato è imputabile al fatto che l’Italia non rappresenta più una delle nazioni più ricche al mondo, condizione che in ogni caso incrementa da sempre l’appeal delle città.

Ma non si tratta soltanto di quello.

Abbiamo deciso di puntare sul nostro passato. Ma così facendo abbiamo tralasciato il nostro presente.

Sarebbe invece importante poter affermare l’Italia di oggi. Un’Italia di artisti e letterati e scienziati e di industriali in grado di esprimere un Paese che dialoga alla pari con il proprio passato.

La produzione culturale dovrebbe contraddistinguerci ancor più che il nostro Colosseo.

Ma per quanto molte città si stiano effettivamente ridestando da un torpore reverenziale, la strada per promuovere una nuova cultura italiana è ancora lunga.

Ma se non decidiamo di investire sul nostro presente, diverrà ogni giorno sempre più irta. Al punto che ci accontenteremo di essere “un popolo di antichi artisti e navigatori”, come scrivono i libri.

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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