Non vogliamo turismo di qualità. Vogliamo solo turisti più ricchi.
La grande narrazione che si è sviluppata negli ultimi anni in ambito turistico è quella che vuole gli operatori del settore e i decisori pubblici impegnati in una costante azione di miglioramento del turismo, così da perseguire un turismo di qualità che tenga conto delle esigenze del territorio e che, anzi, contribuisca al suo sviluppo non solo economico, ma anche culturale.
Nel generale contesto di tale narrazione, il dibattito sull’overtourism, anche grazie all’indubbia efficacia del termine, ha senza dubbio superato il contesto dei tecnici e degli operatori del settore, e ottenuto una grande attenzione da parte dell’opinione pubblica, con le proteste dei cittadini contro la massificazione del proprio ambiente urbano e con l’adozione di scelte, anche di natura politica, che mirino a ridurre il livello di iper-popolamento temporaneo che il turismo causa in alcuni luoghi di interesse internazionale.
La necessità di regolare in modo più intelligente i flussi turistici, affinché da tali flussi non derivino delle implicazioni negative in termini di qualità della vita o addirittura in termini strutturali è tanto indubbia quanto corretta.
Ciò detto, però, è necessario considerare che tutte le azioni concrete che sono state sinora adottate non sono affatto volte al perseguimento di una “maggiore qualità del turismo”, ma soltanto a ridurre o rendere meno accessibili le offerte più “economiche”, soprattutto (ma non solo) in termini di alloggio.
La recente polemica che vede coinvolte le key-box, vale a dire le cassette con codice che consentono ai turisti più cheap di eseguire le procedure legate al cosiddetto “self-check-in” ne sono una prova lampante. Così come sono altrettanto evidenti gli incrementi del prezzo dei biglietti per l’ingresso delle più importanti attrazioni storiche, artistiche e culturali, tanto in Italia, quanto in altri Paesi.
Vietare gli AirBnB, ridurre le case vacanza, vietare l’utilizzo delle key-box, incrementare il costo dei musei, prevedere biglietti di ingresso all’interno della città. Nessuna di tali azioni ha realmente una spinta “qualitativa”.
A meno che l’atteggiamento classista non si sia radicato a tal punto da dare dogmaticamente per giusta e per scontata l’affermazione che “ricco è colto”.
Il turismo senza AirBnB o case vacanza che turismo è? E’ un turismo composto da un minor numero di persone, che hanno la possibilità di sostenere i costi di un hotel, di andare in ristoranti tutti i giorni della propria permanenza, di visitare musei con biglietti di ingresso alti o in ogni caso significativi se si viaggia con la famiglia.
Se non si fosse così fortemente radicata la forza delle compagnie Low-Cost, probabilmente a questa linea di indirizzo si potrebbe aggiungere anche la necessità di un turismo che voli soltanto con le compagnie di bandiera.
Non è dunque un caso che Altagamma, la Fondazione che “riunisce le imprese dell’alta industria culturale e creativa italiana, riconosciute come autentiche ambasciatrici dello stile italiano nel mondo” abbia introdotto tra i “territori Altagamma” dei luoghi che hanno un indubbio valore iconico, ma che è chiaro si riferiscano ad uno specifico target.
Basta leggere quali siano questi territori (in tutto 6 su tutto il territorio italiano, di cui 5 recentemente unitisi nell’Associazione Territori di Eccellenza), per capire di quale target si parli: “Montenapoleone District”, Cortina d’Ampezzo, Courmayeur, Madonna di Campiglio, Porto Cervo, e Isola di Capri.
Sia chiaro, non c’è nulla di sbagliato nell’identificare una linea strategica che miri a valorizzare il turismo di lusso e a penalizzare le forme di turismo e di viaggio meno care.
È invece sbagliato adottare una visione di questo tipo usando la qualità come cortina di tornasole. E non solo per una questione meramente etica, ma per la potenziale incongruenza pratica che alcune politiche possono presentare.
Una tra tutte, la presenza importante di una compagnia Low-Cost come Ryanair, che in alcuni casi è stata a lungo l’unica compagnia attiva in aeroporti minori del nostro Paese. Così come non è coerente con la scelta di un turismo ricco la previsione del turismo delle origini, o del turismo “slow”, a meno che non si intenda per “slow” solo ciò che non sia certificato come tale.
Se vogliamo dunque puntare sul turismo di lusso, iniziamo davvero a rinunciare alla miriade di alberghetti a dir poco imbarazzanti che sono posti nei pressi delle stazioni dei treni. Iniziamo ad imporre una divisione tra i ristoranti per gli italiani, e quelli per i turisti, cercando di disincentivare l’accesso turistico ai punti ristoro destinati ai cittadini imponendo per regolamento, o per rispolvero di regolamento già in uso, l’utilizzo esclusivo del dialetto locale o ancora, imponiamo, come si è usi fare per il noleggio delle auto, una cauzione per ogni biglietto aereo o ferroviario o navale acquistato per l’Italia, così da esser certi che chi venga disponga del reddito necessario per poter essere ospitato nel nostro Paese.
Se invece la strada che si intende percorrere è la strada del turismo di qualità, iniziamo ad imporre una maggiore qualità minima alle nostre strutture ricettive, e iniziamo a creare un’offerta territoriale estesa, anche attraverso il potenziamento dei mezzi di trasporto, o anche soltanto un’integrazione tra i mezzi già esistenti (come i trasporti su ruota, che uniscono capillarmente la nostra penisola ma che non rispondono a logiche di trasporto integrato). Ancora, alziamo il prezzo dei biglietti per i Musei super-star (come il Colosseo e gli Uffizi), prevedendone però la gratuità per coloro che dimostrino di aver visitato musei minori, magari distanti dal centro cittadino, o distanti proprio dalla città. Incentiviamo il turismo nei territori interni, non soltanto attraverso azioni di comunicazione ma mediante politiche di investimento concrete. Agiamo nell’interesse dei cittadini, potenziamo i servizi loro offerti, identifichiamo “capitali della cultura” che restino in carica per 3 anni. Riceviamo ogni visitatore straniero con una serie di domande sul nostro Paese e forniamo incentivi e promozioni (gadget, o affini), per coloro che al lasciare il nostro Paese presenteranno dei questionari compilati. Creiamo connessioni tra il tax-free shopping e la cultura e lo spettacolo. Potenziamo la nostra offerta culturale, turistica, gastronomica, artigiana.
Si tratta di esempi estemporanei, che tuttavia dovrebbero evidenziare come la scelta di una politica che privilegi il turismo di lusso preveda delle scelte che non necessariamente coinvolgono concretamente il concetto di qualità.
Fermo restando che sia l’una che l’altra, qualora espressione della società civile, rappresentino politiche legittime, è importante affermare la necessità di una strategia chiara, e decisa.
Bisogna una volta e per tutte ribadire che accettare gli introiti del Low-Cost, e puntare al contempo al lieve incremento progressivo dei prezzi, non è una politica turistica, è una strategia per incassare di più.