Vista la definizione di Web 2.0 di Wikipedia si potrebbe pensare che i siti di recensione siano proprio quanto di più 2.0 si possa avere. Prendiamo per esempio TripAdvisor che è anche nella lista degli esempi di Wikipedia.
TripAdvisor fa parte del gruppo Expedia e, nonostante quest’ultima abbia promesso uno spin-off delle quote in TripAdvisor, sempre del gruppo Expedia farà parte. Quello che è molto grave è che la maggior parte degli utenti non è a conoscenza che le recensioni redatte dai viaggiatori non sono, come potrebbe sembrare, finalizzate a facilitare la scelta di viaggio ai turisti, bensì a creare testi che spingano i viaggiatori a prenotare hotel e aerei sui siti delle società collegate e su quelli di operatori che riconoscono al gruppo Expedia fior di commissioni.
Ho potuto riscontrare che le classifiche degli hotel – quelle per destinazione- di TripAdvisor non sono la semplice media delle recensioni ottenute dai vari alberghi, ma la media del flusso delle recensioni che i “controllori” di TripAdvisor decidono di gestire arbitrariamente.
Ho notato che per far “girare” le strutture nelle classifiche, magari cercando di vendere qualche profilo aziendale agli albergatori felici di scalare la classifica, si pubblicano con ritardo, anche di due mesi, recensioni col massimo punteggio e viaggiano a velocità impressionante le negative (loro dicono che stanno controllando). In alcune zone d’Italia addirittura ho potuto riscontrare (e segnalare inutilmente) che in classifica ci sono hotel che non sono hotel. Ma TripAdvisor se ne frega.
Di recente, in Francia, il gruppo è stato pesantemente multato per pratiche commerciali scorrette perché pilotava le vendite di alcune strutture dichiarando dei falsi completi in strutture concorrenti (non c’entrano niente le recensioni false o meno).
Non c’è niente di strano in tutto questo! Si tratta di società commerciali non di onlus, perseguono l’utile con priorità assoluta interpretando al limite, e forse anche oltre, leggi e buone pratiche. Quello che è grave è che gli utilizzatori di questo sito, la maggior parte delle volte, non sono a conoscenza di questi meccanismi e dei rapporti aziendali che legano i vari siti di e-commerce tra loro.
Dall’altra sponda sta emergendo in modo prepotente come canale di distribuzione on-line – in Europa – Booking.com, una OLTA che è avvantaggiata rispetto a Expedia, almeno credo, per il fatto che non impegna il viaggiatore a pagare al momento della prenotazione (il pagamento verrà effettuato in hotel al momento della partenza). Pochissime le garanzie per l’albergatore che è costretto a concedere cancellation policy blande e che lo tutelano poco rispetto a eventuali cancellazioni.
Su Booking.com l’albergatore non ha possibilità di replicare o rispondere agli ospiti che lo giudicano. I viaggiatori possono condannarlo senza appello, causando anche danni di immagine e fatturato spesso irreparabili. Booking.com è quindi una OLTA che garantisce massima trasparenza e tutela al viaggiatore? Assolutamente no, costa un po’ di più ma la recensione si può falsificare anche su Booking.com. E l’indice (o meglio il pollice) di gradimento di booking.com mi chiederete voi? Basta pagare uno/due punti di commissione in più e tutto si può ottenere (devi proprio essere scadente per non ottenerlo). E poi le indicizzazioni per popolarità? Quelle si che garantiscono il cliente! Ma dove? C’è la extra-commissione che più aumenta e più sale la tua posizione in classifica (in pratica un’asta tra gli alberghi).
Come ho già detto il problema non sono le recensioni farlocche. Il problema è il corretto uso degli strumenti. Se è vero che è diritto di tutti esprimere le proprie idee e formarsele consultando il web, è anche diritto di chi lavora e di chi offre un servizio di non essere sottoposto a meccanismi di marketing che distorcono la realtà dei fatti. Ne va della soddisfazione dei viaggiatori e del futuro, non solo economico, di chi offre il servizio.
E’ per questo che continuo a ripetere che non è vero che con il web 2.0 il mercato, in particolare quello turistico, è nelle mani dei consumatori. Oggi come non mai è in mano ai grandi gruppi.
La soluzione rimane una sola: la disintermediazione!
Una precisazione, mi sembra che su booking.com un hotel può chiedere anche il saldo in anticipo. O almeno così mi è capitato di vedere mentre prenotavo.
Per il resto concordo pienamente con l' azzecatissima analisi!
Ciao Pietro, in effetti è possibile. Si tratta delle cosi dette "prenotazioni prepagate": di solito sono tariffe molto scontate che obbligano il prenotante al pagamento totale con il rischio di perdere tutto in caso di mancato arrivo. Se però consideri che il soggiorno medio è poco più di una notte, poco cambia se la penalità è la perdita della prima notte come nelle restanti tipologie di prenotazioni. Nel comparto leisure, dove il soggiorno medio è più lungo, la pratica del prepagato di booking.com è percentualmente insignificante per quanto riguarda la mia esperienza.
Grazie per il tuo intervento, continua a seguirci 🙂
Ciao Robi,
anche se non ho avuto modo di testare con mano tutto quello che dici, ho già visto alcune pratiche scorrette da parte di Tripadvisor.
Riguardo Booking.com non sapevo di tutte queste cose, ma grazie per averle analizzate.
In effetti se le persone riflettessero di più su questi strumenti, anziché reputarli ottimi solo perché largamente usati, forse non penderebbero dalle loro labbra.
Purtroppo la massa è legata a questi sistemi e le strutture turistiche sono quasi costrette a seguirli perché conducono al cliente.
A questo punto mi chiedo: visto che questi sistemi non sono nati in Italia, ma per la maggior parte in America (credo)… non è che in questi stati siano regolati in maniera diversa? Le tue ricerche riguardano solo mete italiane o anche straniere?
Ciao Eleonora,
quello che scrivo è frutto della mia esperienza e quindi sono tutte situazioni realmente accadute. Peraltro corrispondono a segnalazioni di colleghi che hanno strutture in varie zone d'Italia. Delle stesse cose se ne parla anche su blog americani e, dopo l'ultima sentenza, francesi. So che ci sono studi professionali di avvocati che in America tutelano gli albergatori con delle cause verso i recensori mendaci, interessati o prezzolati.
Potrei suggerire una soluzione che si basa sul web 3.0..Viki Sentiment è una tecnologia semantica che, mediante l'analisi delle fonti pubblicate in rete, fornisce agli albergatori un quadro generale (strutturato in grafici interattivi) del gradimento della propria struttura nel tempo…in questo modo gli albergatori possono rispondere tempestivamente ad eventuali attacchi o migliorare i propri servizi e la propria offerta.Inoltre, attraverso l'apposizione di filtri sui grafici interattivi esposti da VIKI Sentiment, è possibile individuare il bacino di utenza che ha espresso la critica o il gradimento (età, sesso, provenienza, tipo di viaggiatore ecc.),fornendo agli albergatori la possibilità di effettuare così campagne marketing mirate o migliorare la propria offerta.