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Vivere di o per il turismo? Iniziamo col precisare che la capacità di fare turismo è l’esaltazione del bene pubblico.

L’esaltazione dei sapori del territorio. L’esaltazione di una spiaggia pulita e attrezzata. L’esaltazione di un panorama incorniciato dall’opera di un artista. L’esaltazione della passione di incontrare l’Altro e di metterlo a proprio agio. La possibilità di fare esperienze, che senza la macchina turistica sarebbero inaccessibili ai più. E insieme a tutto questo aiuole, strade, marciapiedi, suolo pubblico, giardini.

E allora perché ad occhi poco esperti il turismo può sembrare una mercificazione di beni pubblici? Perché quando si parla di turismo e si fa riferimento a chi vive di questa professione, si attiva un pregiudizio in cui si pensa al lucro come primo scopo dell’imprenditore turistico?

Spesso sfugge, a chi non è del settore, che i primi cui interessa rispettare l’ambiente naturale (spiaggia, montagna, bosco, mare,…) e mantenerlo sano, pulito, ordinato, sono proprio quei soggetti che ci traggono guadagno. Non fraintendete, c’è anche chi specula, chi costruisce senza rispetto ambientale e urbanistico e poi affitta a costi esorbitanti. Ma le micro e piccole imprese di cui è fatta per una buona fetta la nostra economia italiana, no, non sono loro gli speculatori. Solo un esempio.

Nelle località balneari il periodo lavorativo si riduce a 3-4 mesi. E di questi tempi, -diverso era negli anni’80 e ’90-, non ci sono i mezzi per reinvestire il guadagno. Quel guadagno serve per le spese fisse e variabili inerenti alla struttura e per vivere dignitosamente nel resto degli altri 8-9 mesi, finché la stagione non riparte.

Lo so, sembra impossibile sia così, ma dalla crisi del 2008 le imprese, soprattutto le piccole, non hanno vita facile e non di rado vengono svendute almeno per evitare un eccesso di perdita. Ah, non sto neanche parlando di chi affitta la seconda casa, non si può definirla professione turistica, ma non si può neanche demonizzare.

La storia questo ci insegna: negli anni ’60 – ‘70 le famiglie dormivano in garage o in una stanza e affittavano ai primi turisti la propria casa. È da lì che sono nate le famiglie che si tramandano una vocazione turistica. E dunque ben vengano i futuri imprenditori, ma con il rispetto degli standard e delle regolamentazioni. Parlo di vocazione, sì, avete letto bene.

È uno tra i lavori più stressanti. Si ha a che fare costantemente con gli alti e bassi dei clienti, con le loro richieste, a volte con le loro pretese. Porgiamo loro un orecchio e con l’altro sentiamo cosa va o non va tra il personale e un occhio lo rivolgiamo a un altro cliente che si sta avvicinando, ma non si sa se ha bisogno di noi oppure è solo di passaggio dalla reception. E non dobbiamo essere invadenti, lo sappiamo. Allora quello sguardo ci basta per capire se dobbiamo gentilmente congedarci dal primo per dedicare il nostro tempo al secondo oppure possiamo ancora fermarci ad ascoltare.

Dobbiamo sempre avere il sorriso sulle labbra. I nostri clienti sono in vacanza e come tale non hanno voglia di pesantezze. Anche se il nostro cuore spesso può esserlo, ma il cliente non deve accorgersene. Si tratta di rispetto dello spazio fisico ed emotivo altrui. Invece può capitare che sia il cliente ad avere l’anima affaticata e ha voglia di condividerlo. C’è poco da fare: ascolto sincero, ma senza coinvolgimento. Sono molti i clienti e se ci lasciamo travolgere dalle emozioni altrui la gestione degli aspetti concreti ne risentirebbe e con essi i clienti stessi.

Nonostante l’Italia si la meta turistica più antica (dal XVII sec.) insieme alla Spagna, le Germania, la Francia e ancor prima la Grecia, non si è ancora sviluppata una mentalità, tra lo Stato e i liberi cittadini che hanno intrapreso altre strade lavorative, che sia rispettosa del motore economico più forte della penisola.

Lo stato pandemico attuale non aiuta, l’aumento dei costi costringe a scelte difficili, il sistema formativo fallace impedisce la creazione di professionalità e l’imprenditore si trova a doversi difendere da attacchi, in alcuni casi da repressioni per difendere ciò che gli spetta di diritto. Lavorare al meglio delle sue possibilità per permettere di attuare anche il suo dovere: sviluppare l’economia del contesto nel quale è inserito.

 

Immagine di copertina © Brooke Cagle su Unsplash 

Cecilia Galligani

Cresciuta nel contesto turistico, ha iniziato a "dare una mano" alla famiglia sin da piccola. A 20 anni sceglie la psicologia che la porta prima a Padova e poi a Roma, dove si specializza in Psicologia Dinamica. Si forma in due strutture sanitarie romane e avvia la professione come psicologa, mantiene vivo l'impegno lavorativo in famiglia durante le stagioni estive e un costante aggiornamento nel settore turistico. Rientrata in Toscana nel 2017 si occupa attivamente della gestione della struttura alberghiera insieme al fratello continuando la professione di psicoterapeuta.

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Cecilia Galligani

Cresciuta nel contesto turistico, ha iniziato a "dare una mano" alla famiglia sin da piccola. A 20 anni sceglie la psicologia che la porta prima a Padova e poi a Roma, dove si specializza in Psicologia Dinamica. Si forma in due strutture sanitarie romane e avvia la professione come psicologa, mantiene vivo l'impegno lavorativo in famiglia durante le stagioni estive e un costante aggiornamento nel settore turistico. Rientrata in Toscana nel 2017 si occupa attivamente della gestione della struttura alberghiera insieme al fratello continuando la professione di psicoterapeuta.

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