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Il successo delle destinazioni turistiche si gestisce con più trasparenza e contabilità.

I fortunati tra noi che negli ultimi anni hanno avuto il privilegio di viaggiare e visitare famose località turistiche hanno notato due cose:

  • La prima è il deciso aumento dei prezzi. Non ci riferiamo alle voci più note, come i voli, una camera di hotel, un pasto al ristorante o al chiosco dello street-food. Costa – e anche tanto – muoversi nelle destinazioni turistiche e visitare le attrazioni.
  • La seconda cosa è che pianificare una vacanza culturale o che comunque implichi spostarsi e visitare diverse attrazioni è diventato complicato. Bisogna sapersi destreggiare tra diverse tariffe, offerte, prenotazioni consigliate e obbligatorie.

L’ingresso base dei maggiori musei di New York – per i turisti – vale circa 30$. Le attrazioni più iconiche costano anche di più e costi di entrata arrivano anche a 100$ se si intende visitare posti particolari e saltare le file.

Si può risparmiare con le card. Una delle più vendute nella grande mela costa circa 135$ e permette di visitare cinque tra le attrazioni più visitate delle città di cui tre a scelta (con un risparmio stimato del 40% rispetto alle singole entrate). Per entrare (in quasi tutte le attrazioni) è necessario prenotare. Nonostante questo, nella maggior parte dei giorni dell’anno, in alcune di queste attrazioni è necessario fare fino a tre ore di coda. La metrocard per spostarsi con i mezzi pubblici a Manhattan costa 34$ e dà diritto a un numero di viaggi illimitato per una settimana. È tanto o poco?

Dipende dai punti di vista. Chi va a New York sa che deve spendere. C’è una sufficiente disponibilità a pagare tanto che il deciso incremento del costo di una vacanza a NY non ha ridotto (per ora) la crescita dei flussi turistici. Vorremmo però attirare la vostra attenzione su un altro punto di vista.

Secondo i dati di Arivals, chi visita un luogo per motivi culturali spende, mediamente, tra 5$ e 20$ per visitare le attrazioni ogni 100$ spesi per dormire o mangiare. Ci sono ovviamente tanti casi diversi tra di loro, ma il punto è che chi gestisce i “motivi” principali per cui si visita un luogo prende da 0 a una piccola percentuale dei dollari che i turisti spendono nella destinazione.

Nonostante i prezzi che ad alcuni possono sembrare elevati, e la elevata professionalizzazione della gestione commerciale (dynamic pricing, sistemi di pagamento, differenze tariffarie per segmenti di mercato e stagione), gli introiti da biglietto dei musei o dei mezzi di trasporto pubblico – a volte – sono appena sufficienti per pagare i costi di gestione degli stessi. Nella maggior parte dei casi non bastano a garantire la manutenzione. Fanno eccezione i più prestigiosi musei come quelli di città quali New York o Parigi, all’avanguardia dal punto di vista dell’esperienza di visita, nella ricerca e nella conservazione e perché hanno varie e variegate fonti di entrata. Il prezzo dei biglietti rappresenta solo una piccola quota (15- 20%) del totale delle entrate. Un peso maggiore lo hanno le donazioni dei privati stimolati dagli sconti fiscali: si tratta di una sorta di finanziamento pubblico dove a decidere la destinazione delle tasse è lo stesso contribuente.

Il successo delle destinazioni turistiche e la gestione dell’overtourism

Perché vi abbiamo scritto tutto questo? Perché ci pare una premessa necessaria per spiegare un pezzo di quel fenomeno che chiamiamo overtourism. Qui non ci riferiamo ai problemi più visibili come l’affollamento, le code o l’ordine pubblico, ma piuttosto agli antecedenti e alle conseguenze strutturali del successo di una destinazione turistica.

Gli economisti rappresentano questa situazione come tragedy of commons (la tragedia dei beni comuni). Di cosa si tratta? In breve, molte forme di turismo, come, ad esempio, trascorrere del tempo in una città o un borgo, sono visite per “ammirare” attrazioni pubbliche o semi-pubbliche come una cattedrale, un panorama specifico, un museo o un evento. Anche se queste attrazioni sono il principale motivo della visita, la maggior parte della spesa dei turisti si riversa su beni e servizi che facilitano la loro permanenza, come pernottamenti in hotel, pasti nei ristoranti, guide turistiche e souvenir. Queste attività di supporto sono i veri moneymaker del settore, mentre agli attori responsabili delle principali attrazioni restano “le briciole”.

Più precisamente, i musei, i parchi e gli organizzatori di eventi fanno pagare, in alcuni casi, biglietti di ingresso, ma i ricavi generati da questi non compensano in alcun modo i costi elevati per gestione, conservazione, mantenimento e miglioramento dell’esperienza. Ci sono poi situazioni come le piazze o la vista su uno scorcio, dove si pagano prezzi più elevati per consumare un pasto o un caffè o anche solo per l’acquisto di una cartolina, proprio per la posizione peculiare in cui ci si trova, che garantisce introiti (anche extra) a chi fornisce il servizio, ma i cui costi di conservazione del bene (la pulizia, l’illuminazione, la manutenzione) sono tutti a carico della collettività.  In altre parole, i punti di forza “unici” dei luoghi turistici popolari hanno caratteristiche di “beni comuni”, cioè risorse condivise e non regolamentate che corrono il rischio di essere sovrasfruttate.

Il risultato: i luoghi sono utilizzati da troppe persone, i benefici vanno a pochi (privati), i costi (di varia natura) sono scaricati sui residenti/contribuenti della Regione o Stato dove si colloca la destinazione.

La contabilità di una destinazione

In questa prospettiva, una discussione seria su come risolvere i problemi dell’overtourism, dovrebbe concentrarsi sui costi non sempre visibili del turismo e la loro distribuzione.

Cinque domande a cui sarebbe bene rispondere:

  1. Quali sono questi costi? Quanto costa offrire i servizi generali di un territorio? Quanto costa metterlo in sicurezza? Quanto costa la manutenzione del capitale turistico, cioè dei luoghi frequentati dai turisti? E più precisamente, quanto costa preservare e valorizzare i luoghi culturali o a interesse turistico?
  2. Chi paga per le infrastrutture di base necessarie a ogni attività quali energia, trasporto, acqua, rifiuti? La presenza di un maggior numero di turisti comporta costi maggiori. Se sì, chi li sostiene?
  3. Chi paga per la manutenzione dei paesaggi, dei sentieri o delle attrazioni diffuse che caratterizzano il nostro territorio?
  4. L’assetto istituzionale e fiscale italiano è adeguato a redistribuire questi costi? È davvero possibile scaricare tutti questi costi sulla collettività in Italia visto che nonostante una pressione fiscale da Paese socialista abbiamo un debito pubblico enorme?
  5. Qual è l’alternativa al successo turistico per molte località italiana? Esiste davvero al momento?

In altre parole, invece di discutere di temi di distrazione di massa quali la ri-distribuzione dei flussi, il turismo di qualità, i circuiti esperienziali e altre amenità da circolo radical-chic, prendiamo il toro per le corna e riconosciamo che nessun pasto è gratis e qualcuno deve pagare.

Questa prospettiva ci consente di fare una riflessione più ampia sul clamore suscitato dal fatto che la Regione Liguria ha deciso di incrementare i prezzi delle corse del Cinque Terre Express introducendo un sistema tariffario in cui si paga di più in base alla stagionalità dei flussi. Secondo una buona parte degli operatori turistici locali e di alcuni amministratori pubblici questo sistema non risolve nessun problema di sovraffollamento, spiazza la domanda turistica italiana (più sensibile ai prezzi), discrimina il diritto a visitare un luogo e trasferisce ricchezza dalle sole Cinque Terre anche agli abitanti di altri luoghi della Regione a cui è stato dato accesso a un’importante scontistica sugli abbonamenti ferroviari.

Concordiamo sul fatto che questo provvedimento non abbia alcun impatto sul volume dei flussi turistici – se non sugli escursionisti individuali o organizzati presenti soprattutto durante i ponti primaverili – e quindi non affronti il tema più evidente dell’affollamento. Tuttavia, è il primo passo per affrontare nodi più strutturali e cioè la contabilità e la distribuzione dei costi e dei benefici del successo turistico. Come suggerisce il Presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, parafrasando le sue dichiarazioni: perché visitare le Cinque Terre deve costare a un turista americano meno di quanto noi stessi siamo disposti a pagare per visitare una qualsiasi attrazione statunitense?

Seguiamo il filo del ragionamento del Presidente, ma dovremmo farlo fino in fondo. La maggior parte delle attrazioni pubbliche e para-pubbliche statunitensi sono gestite da realtà no-profit che hanno elevatissimi standard di trasparenza. Siamo certi che aiuterebbe il dibattito e faciliterebbe l’individuazione di soluzioni condivise conoscere i costi e i ricavi del Cinque Terre Express: i costi di esercizio, gli ammortamenti, la quota di ricavi trattenuta da Trenitalia, la quota devoluta al Parco Nazionale delle Cinque Terre e la quota di introiti che la Regione Liguria intende allocare per altri scopi sociali.

Più in generale, è giunto il momento di capire che per gestire l’accoglienza nelle Cinque Terre sia imprescindibile un ente che si avvicini più alla cultura di gestione, trasparenza e accountability di una charity americana, che non tanti enti, grandi e piccoli, soggetti alla e della burocrazia italiana.

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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