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Tecnologia e turismo sono sempre più legati tra loro

Nello scenario internazionale, tecnologia e turismo rappresentano ormai un binomio indissolubile: dalle modalità di prenotazione del volo al caring post-viaggio la tecnologia sembra fornire sempre una risposta adeguata a tutte le esigenze.

La velocità con cui viaggiano la ricerca e la sperimentazione di nuovi prodotti e servizi ha però posto in secondo piano un elemento che, invece, dovrebbe rappresentare un elemento fondamentale per la costruzione del nostro futuro.

Tale elemento, fondamentale quanto banalissimo è, semplicemente, una riflessione: ma siamo sicuri di fare le domande giuste?

Le innovazioni tecnologiche che promettono di avere effetti disruptive sul mercato turistico riguardano principalmente i settori dell’entertainment, del comfort durante tutte le fasi di viaggio, la robotica, e le informazioni.

Guardando all’entertainment, pensiamo a quanto i servizi durante il volo stiano raggiungendo livelli sempre più raffinati e innovativi: dagli sviluppi di “cinema indossabili” con visori a schermo OLED, alla possibilità di decidere in anticipo i film e gli show tv che vedremo durante il viaggio (Singapore Airlines), e a tutte le altre novità che contraddistinguono il segmento in-flight (durante il volo).

Quando pensiamo al comfort, pensiamo ad esempio alla partnership tra Alibaba e Marriott Hotel che consente agli ospiti di prenotare una camera e fare check-in attraverso un sistema di ricognizione facciale in modo completamente automatizzato.

Con riferimento alle informazioni, si pensi soltanto al grande boom che sta conoscendo l’analisi dei dati, (big-data) di Machine Learning e Intelligenze Artificiali e al ruolo sempre più centrale che i social network giocano prima, durante e dopo l’esperienza di viaggio.

Se questo è quello che succede a livello internazionale, però, in Italia i passi da fare sono ancora molti.

Nonostante l’Italia sia un Paese tutto sommato piccolo, in cui le imprese che hanno una valenza nazionale nel segmento sono relativamente poche, gli sforzi “sistemici” sono ancora irrisori.

All’arrivo in una città diversa da quella in cui viviamo, non riceviamo nessun sms con un messaggio di benvenuto dalla Pubblica Amministrazione, che ci indichi il portale del Turismo cittadino in cui sono presenti tutte le attività che mostrano una maggiore affinità con i nostri gusti e con i nostri consumi culturali pregressi.

Eppure basterebbe pochissimo: basterebbe una convezione tra la Pubblica Amministrazione e il vettore (si pensi a Trenitalia), e all’integrazione nazionale dei portali cittadini.

In altri termini, basterebbe che le città si dotassero di “siti” in cui vengono pubblicate tutte le informazioni relative alle attività del tempo libero presenti in città e che, attraverso i cookies, riuscissero a memorizzare “gli interessi” mostrati. Basterebbe poi poter rendere disponibili questi dati alle altre amministrazioni, e il gioco è fatto.

Sarebbe così possibile poter ricevere un link ad una pagina che, sulla base dei criteri di selezione già approvati in precedenza, ci proponesse tutte le opportunità di svago che, con maggior probabilità, possono rientrare nei nostri interessi.

La disponibilità tecnologica di cui disponiamo è immensa: oggi esistono telecamere che, nel pieno rispetto della privacy, permettono di interpretare le espressioni facciali, reagire ai nostri movimenti e interpretare le nostre direzioni. Indossiamo sensori che monitorano i nostri parametri vitali (gli smartwatch per il trekking, si, proprio quelli) e, a breve, saranno disponibili tecnologie in grado di valutare quello che guardiamo e per quanto tempo (come se il mondo fosse un’immensa pagina web).

Possiamo monitorare i flussi di cittadini e turisti all’interno delle nostre città, visionare le “zone calde” sulla base degli eventi, conoscere quante persone sono presenti contemporaneamente in una determinata zona geografica (i dati delle celle telefoniche cui si collegano i nostri cellulari).

Il tutto, senza che “il cittadino/utente” debba svolgere qualsiasi azione “online”: aggiungendo a questo set di informazioni tutti i dati che ciascuno di noi, quotidianamente, pubblica volontariamente su internet, l’insieme delle informazioni e delle possibilità di utilizzo a fini turistici sarebbe incredibile.

E invece noi ci occupiamo della “fatturazione elettronica”, che, come ha detto un mio formidabile amico, è un servizio impeccabile di cui nessuno ha mai sentito l’esigenza.

Così, mentre gran parte degli italiani ancora non possiedono lo SPID, nel resto del mondo l’utilizzo della tecnologia è entrato a pieno titolo in tutti i progetti di gestione e di governo del territorio.

Si pensi, ad esempio al caso di Toronto, municipalità che ha avviato il primo esperimento di sensing city, demandando ad una società controllata da Google un progetto di rigenerazione urbana.

L’importanza di questo passaggio è fondamentale: l’aver affidato ad una società tecnologica la costruzione dell’intera infrastruttura tangibile (strade, edifici, luoghi di condivisione, ma anche rete internet, sensori in grado di dialogare con gli smartphone, ecc.) ha acceso un profondo e proficuo dibattito sulla conservazione dei dati e sulle modalità più consone di utilizzo e di protezione.

Questo “passaggio” ha già portato ad “innovazioni” democratiche importanti che riguardano, ma non si limitano esclusivamente agli aspetti tecnologici.

È stata ipotizzata, ad esempio, la stesura di linee guida dell’utilizzo dei dati (Linee Guida per l’Utilizzo Responsabile dei Dati), ed è stata avanzata la proposta di costituzione di un trust (forma giuridica estremamente efficace ma poco diffusa nel nostro Paese) che assolverebbe ai compiti di monitoraggio e di vigilanza, al riguardo.

L’Italia, in questo senso, è in una condizione infelice: secondo il Report DESI (che misura il livello di digitalizzazione dell’economia e della società in Europa), il nostro Paese si è classificato, nel 2018, quartultimo. Peggio di noi soltanto Bulgaria, Grecia e Romania.

Il turismo, in questo, potrebbe giocare un ruolo importante: nell’insieme dei cluster misurati dal report, i cosiddetti leisure goods non solo hanno un impatto significativo dal punto di vista “quantitativo”, ma rappresentano anche l’unico settore che prevede il coinvolgimento attivo da parte della cittadinanza.

Detto in altri termini, il turismo rappresenta davvero un settore che potrebbe trainare (come piace tanto dire ai commentatori istituzionali) non solo la nostra economia ma anche la nostra società. L’applicazione di tecnologie in grado di ri-disegnare il rapporto tra “ambiente costruito” e “turista-cittadino”, infatti, consentirebbe anche l’affermazione di nuove modalità di intervento da parte delle Pubbliche Amministrazioni nella gestione del territorio, con l’emersione di modelli di sviluppo realizzati, in modo specifico, per il nostro Paese.

Il grande differenziale, in termini di asset e velocità di sviluppo, che ci differenzia in negativo rispetto alle altre nazioni, rischia infatti di tradursi in una pedissequa accettazione di modelli di sviluppo ideati, definiti e realizzati in contesti diversi dal nostro.

Tra dieci anni, ogni Paese si sarà ormai dotato di una struttura demandata alla tutela dei dati e alla rilevazione degli stessi negli spazi pubblici e/o privati. Il rischio è che saremo costretti (a fronte di sanzioni che l’Unione Europea ci impartirà) ad adottare un modello sviluppato altrove.

A ciò si aggiunga che, oggi, con il ridursi delle distanze, è sempre più difficile discernere i servizi al cittadino dai servizi al turista. Fatta eccezione delle attività caratteristiche (come quella legata alle strutture ricettive), ogni investimento realizzato per migliorare le modalità di interazione tra i turisti e il territorio cittadino, costituirebbe anche un beneficio per il cittadino.

Una visione strategica in questo senso andrebbe a costruire, nel tempo, un beneficio per il settore turistico, per i cittadini e, a ben vedere, per l’intero sistema Paese.

A fronte di così lampanti evidenze, l’assenza di una tale visione non può che lasciare sconcertati.

Immagine di pixel2013 da Pixabay

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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